domenica 17 maggio 2015

Altre impressioni da Expo

Altra settimana, altro giro ad Expo.
Più i giorni passano, più Expo migliora.
Va chiarito subito, però, che c’è una differenza tra l’andarci durante le giornate lavorative (magari di giorno) e l’andarci nel week end o la sera dopo le 19:00 (quando il costo del biglietto è ridotto e arrivano folle di persone di ogni genere).
Durante la settimana, normalmente, si incontrano le scolaresche, i gruppi organizzati, molti operatori del settore e addetti ai lavori; i volontari girano a gruppetti sfaccendati, non tutto è aperto e accessibile (in particolare al lunedì che è un po’ una “giornata morta”, non perché la gente non ci sia ma perché è sicuramente inferiore nei numeri rispetto agli altri giorni e gli organizzatori si adeguano e, magari, colgono l’occasione per ridimensionare un po’ persone e risorse).
Nel fine settimana lo scenario cambia radicalmente: tutto è aperto, tutto funziona a pieno regime, tutti gli operatori e i volontari sono affaccendatissimi a dare indicazioni ai visitatori e sia il corridoio centrale che i padiglioni o il retro dei padiglioni si animano anche di bar, spazi aperitivo, musica, aree relax.
La sera, poi, è un altro mondo ancora: all’interno di Expo arriva il popolo della movida (molto variegato perché si spazia dai ragazzini casinisti ai giri di persone firmate da capo a piedi, agli impiegati in cerca di relax dopo il lavoro fino ai soggetti vestiti come ragazzi/e immagine da festa in discoteca, esattamente come in qualsiasi luogo della movida notturna) e il sito espositivo si adegua e diventano molto più visibili i punti in cui si può bere o mangiare attorno ai padiglioni o nelle aree relax a bordo piscina/fontane o giostrine. Quando sono passate le 19:00 - e l’ingresso è concesso a 5,00 € - si vede un cambio radicale dei soggetti che si aggirano per Expo: il popolo della gita con zainetti, scarpe basse e cappellini si avvia all’uscita (spesso con aria stanca per il tanto camminare) o si appisola su sdraio, prati, panche o qualsiasi altro punto d’appoggio mentre arriva un’ondata di persone vestite in modo più appariscente e le donne sono tutte con tacchi alti e truccatissime. Ovviamente, cambiano anche i luoghi di approdo e le lunghe code cominciano a spostarsi dai padiglioni ai luoghi di ristoro (in particolare i camioncini francesi e olandesi dell’area giostre, il baretto del Belgio con le patatine (assaltato a tutte le ore del giorno e della notte) ma anche i bar di Spagna, Messico, Argentina, Corea.
Expo, insomma, la sera diventa un luogo per la movida al pari di Brera, dei Navigli o di Corso Como.
In generale, sui visitatori di Expo ci sono un po’ di cose da chiarire: le persone vengono lì principalmente per divertirsi, svagarsi e prendere parte all’evento mondiale.
L’interesse per i contenuti presentati è abbastanza scarso, non perché non vogliano vedere i padiglioni, anzi, le lunghe code un po’ ovunque dimostrano il contrario ma perché una volta entrati – un po’ anche per via della stanchezza delle attese, un po’ per il giro che spesso è lungo, un po’ perché si vogliono vedere più cose possibili in una sola giornata - si tende a passare all’interno degli spazi scorrendo con lo sguardo sulle cose che si incontrano senza prestare troppa attenzione al perché sono disposte in un certo modo e a cosa rappresentano; si tende a non leggere i cartelli esplicativi che vi sono e ad ascoltare distrattamente le hostess che vi sono all’interno e che illustrano ciò che si sta guardando. Insomma, molto spesso, la visita ai padiglioni si traduce in una passeggiata rapida lungo il percorso interno in cui si cerca più lo stupore per la tecnologia utilizzata per la rappresentazione dei contenuti che non il cercare di capire il contenuto stesso.
Non è sempre una colpa o una forma di disinteresse, in molti casi è proprio la stanchezza fisica a non consentire di concentrarsi troppo, in altri casi sono le condizioni economiche: entrare ad Expo di giorno costa molto e chi è lì vuol vedere più cose possibili e, quindi, finisce che gira come una trottola da un posto all’altro, imbucandosi al momento in cui non trova troppa coda, anche se magari si sta già dirigendo verso casa dopo una lunga giornata nel sito, per poter almeno “fare un giro” dentro ad un Paese che difficilmente avrebbe altre occasioni per guardare e questo, indubbiamente, non agevola l’attenzione a ciò che si osserva.
Una colpa dei visitatori, invece, è la scarsa educazione nei confronti delle cose: si siedono e si sdraiano ovunque (soprattutto sui prati), lasciano cadere le cose per terra (nonostante il sito sia disseminato di cestini per i rifiuti), si rinfrescano nelle “case dell’acqua” (che servono per bere e non per lavarsi).
L’acqua in Expo non manca così come ci sono le fontane, il canale che scorre intorno al sito e gli spazi verdi (alberi, aree relax, prati, alberelli, orti). Il problema è che non tutti gli spazi verdi sono adeguatamente irrigati, in particolar modo quelli a cura dei padiglioni (che appunto dipendono dal singolo Paese che li ha progettati) e questo può provocare qualche problema visto che buona parte di questi spazi si trova sotto al sole e abbiamo l’estate davanti: è facile trovare già alcuni punti un po’ spelacchiati per il troppo sole (se verticali) o per il troppo calpestare (se orizzontali) e si spera che vengano trovate soluzioni per arrivare con le aree in buono stato fino alla fine dei sei mesi.
I padiglioni che hanno scelto come loro claim il verde (che sia orto, agricoltura, bosco, giardino, foresta) sono, infatti, moltissimi, a partire da Israele (con l’orto verticale, ampiamente irrigato), l’esterno francese (con l’orto in grandi vasi che formano un labirinto attraverso cui si accede allo spazio espositivo con accanto megaschermi che spiegano le varie fasi del raccolto), il Brasile (diventato famoso per la grossa rete su cui tutti vogliono provare a camminare sospesi ma che al suo interno si compone di una serie di piante e prodotti della terra, ampiamente irrigati, e tavole tecnologiche interattive ed esplicative del percorso) ma anche il Regno Unito (con il giardino sollevato ad altezza ape) e l’Iran (con fiori, piante e frutti, che diventano cibo, cultura e tradizione).
Un po’ a sorpresa, è poco verde quella che nei luoghi comuni viene chiamata la “verde Irlanda”: all’interno si parla dei cicli agricoli, degli strumenti da lavoro e dell’allevamento ma il tutto su megaschermi che proiettano le varie fasi. Di verde vero si vede solo qualche pianta all’esterno (alcune delle quali non proprio in buona salute a causa del vento forte dei giorni scorsi).
Al verde è dedicata la Collina Mediterranea, a ridosso dell’ingresso di Roserio al sito espositivo, ben costruita, molto squadrata ma anche molto assolata e dalla cui cima si sentono i rumori delle strade vicine… insomma, non proprio un luogo riposante. Va molto meglio nell’isola della biodiversità più sotto, gestita molto bene da Slow Food, con arredi semplici e in legno e molta documentazione istruttiva sia per gli adulti che per i ragazzi.
È paradossale ma, vicino a Slow Food, c’è anche Mc Donald, sicuramente poco salutare ma molto pratico ed economico (che per l’occasione ha predisposto anche pannelli su cui effettuare l’ordinazione e pagare con bancomat), un po’ rumoroso ma affollatissimo da persone di tutte le età.
Nella stessa zona si trova anche il padiglione del Sultanato dell’Oman che ha puntato tutto sul concetto di acqua come luogo di vita e accoglie i visitatori con una fontana dai giochi d’acqua e architetture color sabbia che richiamano le oasi. All’interno è un mix di oggetti veri e virtuali ricostruiti con la tecnologia (le statue sembrano animarsi e spiegano ciò che rappresentano). Dietro al padiglione vi è anche il ristorante, sempre costruito nella stessa architettura spettacolare.
In generale, ogni padiglione dispone di un’area espositiva (più o meno ampia), un piccolo spazio shop (di gadget del Paese d’origine e acquistabili spesso a prezzi molto elevati) e un punto ristoro (bar o ristorante). In alcuni casi il percorso interno è strutturato in modo che il visitatore parta dall’area espositiva e termini nel punto shop o ristoro, in altri casi l’ingresso all’area espositiva è totalmente separata dall’area shop, bar o relax e entrare in uno spazio non implica l’accesso anche all’altro. È il caso della Germania, il cui percorso all’interno del padiglione espositivo è molto divertente e interattivo anche se lungo e con ampi tempi di attesa ma è totalmente separato dallo spazio esterno, dove pure vi sono dei tabelloni esplicativi dei concetti che si trovano meglio esplicitati all’interno, delle innovazioni tecnologiche in particolare legate al vento ma dove dominano le panche e i pergolati per il relax con vista sui tetti di Expo e da cui si può scendere con uno scivolo.
Più o meno lo stesso discorso vale per gli Stati Uniti, dove l’ingresso principale fa approdare in un’area con tabelloni con immagini a scorrimento sulle politiche americane in materia di agricoltura e alimentazione che termina con uno spazio shop con oggetti costosissimi e da lì si può scegliere se salire al piano superiore con bar e ristorante (su ampia terrazza da cui si domina Expo e si ascolta bellissima musica) o scendere per accedere all’area espositiva in cui, dopo aver fatto un po’ di coda, si viene separati in gruppetti per assistere ad un percorso fatto di mini-filmati (che però quasi nessuno guarda e tutti cercano di imbucarsi nel gruppo più avanti, saltando dei giri) all’interno di sale buie.
Quello che non fanno i Paesi, a volte lo fanno gli sponsor: è il caso dell’Olanda, il cui padiglione è un labirinto di specchi con accanto una ruota panoramica di dimensioni ridotte e i camioncini con cibo e bevande (praticamente un mini luna-park) mentre un’azienda olandese che si occupa di agricoltura ha creato un padiglione espositivo piuttosto evidente anche se non è situato lungo le vie principali con un tetto fatto di prato verde con un trattore sopra e all’esterno ha parcheggiato una serie di piccoli trattorini con cui si divertono a giocare i bambini.
A metà tra la natura e la tecnologia sono, invece, i bellissimi padiglioni di Angola e Polonia. Il padiglione dell’Angola è enorme e curato in ogni dettaglio. Una prima parte più esterna e legata a sponsorizzazioni si compone di piante mediterranee inserite nell’architettura all’interno di un percorso incantevole che poi porta ad un ristorante. Il padiglione vero è proprio, invece, ha l’ingresso sul lato opposto ed è un percorso strutturato su più piani in cui vengono presentati diversi concept legati all’alimentazione e al ciclo della vita e del cibo con suoni, video, immagini, strutture interattive. Salendo lungo il percorso, a più tappe, si incontra anche la natura vera con piante e una piccola serra fino all’ultimo piano del padiglione in cui, oltre alla presentazione di alcuni alimenti locali, alle donne viene donato un piccolo ventaglio di cartone che servirà per l’accesso alla terrazza sul tetto, disseminata di piante e panchine ma terribilmente calda. Lungo la discesa, prima dell’uscita, è possibile vedere anche un’area in cui si trovano delle opere d’arte contemporanea del Paese. Un vero e proprio capolavoro di architettura, tecnologia, innovazione e natura! Una sorpresa davvero bella da parte di un Paese che, bisogna ammetterlo, la maggior parte dei visitatori non conosce e che sicuramente non si sognerebbe mai di andare a visitare ma che, invece, almeno per come si presenta in Expo e per ciò che vuole comunicare, oltre che per l’impegno e l’investimento (sicuramente ingente) per la realizzazione di quel padiglione, merita un po’ di attenzione.
Un caso analogo, ma dalle dimensioni più ridotte, è il padiglione della Polonia. Si entra con una citazione di Dante capovolta: “Abbiate ogni speranza, voi che entrate” e hanno ragione. Dopo una lunga salita si accede ad un delicato giardino di fiori, piante e farfalle racchiuso dentro pareti di specchi. Un incanto molto romantico e piacevole che allontana dal caos esterno. Da qui si accede poi all’interno del padiglione dove invece domina la tecnologia e il gioco: si può guidare un’auto (in videogioco), produrre energia con il movimento, parlare ad uno schermo con il volto di medusa che replica ciò che gli viene detto. Il tutto termina con il consueto approdo al punto shop di prodotti locali (anche alimentari) mentre fuori, davanti all’ingresso, si susseguono spettacoli in costume.
Anche l’Estonia è metà giardino e metà altro, dove per “altro” però si intendono produzioni locali che non c’entrano molto con Expo (sono esposti un pianoforte, una moto, altri oggetti in legno). La vera forza dell’Estonia – oltre alla gradevolissima terrazza ventilata in legno con piante e fiori e buchi da cui si vedono gli animali del bosco – sono le altalene dislocate lungo il percorso e su cui si può sedere e sostare. Sono la gioia dei bambini ma anche dei grandi. Le altalene funzionano, ci si può dondolare davvero (magari gli adulti, soprattutto se non magrissimi, farebbero meglio a farlo con cautela invece di fiondarcisi come bisonti) e sono una vera attrazione (nel senso che “attirano a sé”) molto rilassante. Un’oasi tranquilla di relax per riprendere fiato dal lungo cammino e allontanarsi dai rumori caotici del Decumano.
Un altro Paese che sembra aver capito solo a metà il senso di Expo è il Belgio. La vera coda in Belgio non è per visitare il padiglione ma per il bar che vende il cono di patatine fritte. Il padiglione presenta un primo piano espositivo delle produzioni locali compresi i gioielli (bellissimi ma non si capisce cosa c’entrino con Expo), poi si scende al piano inferiore dove, invece, si arriva ad Expo con il ciclo della vita, delle coltivazioni (c’è una serra) e i pesci nell’acquario, la cui acqua era pulita all’inizio della manifestazione ma ora fa davvero impressione e si spera, per il bene di quei poveri pesci, che venga cambiata. Il tutto termina con il consueto punto shop (dove ci sono ottimi cioccolatini) e un bellissimo bar.
La Spagna, invece, ha giocato tutto sulla tecnologia. L’ingresso non è comprensibilissimo: campeggiano valigie e valigie volanti su sfondo giallo, poi però all’interno vengono presentati – grazie a schermi, immagini, proiezioni su pareti e pavimenti – le specificità spagnole in tema di alimentazione e biodiversità. Il tutto termina con l’approvo ai bar più gettonati della movida di Expo.
Insomma, i contenuti, a volerli cercare ci sarebbero anche, ma spesso anche quando vengono presentati nelle forme più coinvolgenti, interattive e spettacolari sono i visitatori a ignorarli per prediligere l’aspetto ludico dell’esposizione. Per non parlare di quando si ha a che fare con le hostess che, all’interno dei vari padiglioni, cercano di raccontare ciò che si sta vedendo: il più delle volte, i visitatori (che, oltre a volersi divertire, hanno anche fretta di fare il giro e passare ad altro) le ascoltano con malcelato fastidio.
Qualche perplessità, sempre sui contenuti, la lascia anche la “casa delle associazioni”, Cascina Triulza. È un po’ paradossale ma il luogo del Terzo Settore, dove vengono organizzati importanti iniziative e interessanti dibattiti per discutere del tema di Expo (cioè “Nutrire il Pianeta”) e dove c’è una grande attenzione alla biodiversità e alla sostenibilità, al loro esterno ospitano un Mercato (si chiama così, lo indica il cartello che vi campeggia davanti) di poche bancarelle di produzioni varie (sabato c’erano alimentari siciliani e di qualche altra Regione uniti a venditori di gioielli o gadget indiani e bengalesi), a metà tra quelli che si trovano alla fiera Fa la cosa giusta e i venditori di patacche delle feste di via. Chi lo gestisce garantisce che si tratta di un mercato “equosolidale” e di produzioni artigianali, nella pratica sono bancarelle piazzate davanti alla Cascina con venditori che fermano i visitatori e cercano di piazzare i loro prodotti… un po’ spiacevole, visto che quella è la sede in cui si dovrebbe fare altro.
A lavorare molto sui contenuti – legati ad Expo ma nono solo - ci hanno pensato il Vaticano (con un padiglione intitolato “Non di solo pane”) e la Casa Don Bosco (che si occupa di progetti educativi per i ragazzi).
Complessivamente, comunque, Expo nei week end è il centro del mondo per chi è a Milano e la vera emozione, per tutti, è essere lì. Ci sono Paesi che hanno realizzato padiglioni meravigliosi e ricchi di contenuti interessanti, in cui presentano concept in modo spettacolare che, nei giorni di punta delle visite, esprimono il loro meglio, facendo vedere cose stupende e divertendo il pubblico.

Qui il racconto delle prime visite ad Expo, delle prime impressioni e dei primi padiglioni visitati»