sabato 29 settembre 2012

Le regole delle primarie

In questi giorni si fa un gran parlare di Primarie (del Pd o del centrosinistra) e di regole sulla partecipazione. Una discussione importante perché va a toccare alcuni nervi ancora scoperti delle consultazioni organizzate dal Pd ma che sembra essere terribilmente autoreferenziale, soprattutto di fronte alle tante problematiche che la crisi sta facendo emergere in Italia.
Non è una bella immagine da offrire all’opinione pubblica quella che vede il maggior partito politico del panorama italiano (che fino ad ora sembra avere retto abbastanza in quadro di degrado assoluto della politica e di una buona parte della classe dirigente operante nelle istituzioni) impelagato in una lite continua tutta interna su questioni che nulla hanno a che vedere con il come il Pd si candida a cercare di risollevare il Paese dalla crisi e a cercare di risolvere i problemi che questa ha comportato per gli italiani. Gli italiani hanno altri problemi, un po’ più consistenti delle regole sulle primarie e dello scontro – seppur divertente e appassionante – tra le tifoserie di Renzi e Bersani.

Tuttavia, il problema della gestione delle primarie e delle regole di partecipazione esiste da tempo anche se, fino ad ora, è stato ben scarso l’impegno dei dirigenti per mettervi mano.
Personalmente, ritengo che delle regole siano necessarie, in particolare per stabilire chi debbano essere i candidati alla competizione: non esiste che chiunque arrivi e si candidi come gli pare. A Milano, per la scelta del sindaco, si sono fatte primarie di coalizione senza che neanche fosse stata stabilita prima la coazione. Sempre a Milano si è candidato un soggetto (Sacerdoti) che non apparteneva ad alcun partito della presunta coalizione e che non ha nemmeno ricevuto il sostegno (ufficiale o ufficioso) di alcuno di essi. È chiaro che così facendo, chiunque si può presentare alle primarie del centrosinistra, anche solo come “guastatore”. Il recinto entro cui ci si muove andrebbe stabilito prima della presentazione delle candidature (con la coalizione, nel caso di primarie di coalizione o con regolamenti interni, nel caso di primarie di partito).
Diverso è il discorso per le regole che riguardano la partecipazione degli elettori. Personalmente, sugli elettori ci andrei più piano: le primarie non fanno parte della cultura politica italiana ma solo del centrosinistra (a destra non le hanno mai avute). Ai nostri gazebo si sono presentati sempre e solo i militanti, gli iscritti e le persone “di sinistra”. Non ci sono mai stati “infiltrati di destra” che tentavano di inquinare il voto. Caso mai ci sono dei casi di corruzione o altro (si vedano i cinesi in coda a Napoli pagati da qualcuno per votare, gli stranieri in coda a Roma ai tempi di Veltroni).
Fare registri preventivi di elettori è sintomo di chiusura e, come scrive Ivan Scalfarotto (per cui non ho mai avuto simpatie ma che qui condivido) in un articolo su L’Unità, "se lo scopo delle primarie è allargare quanto più possibile la nostra base di consenso in questo particolare momento storico e vincere, come io credo, bisogna allora favorire la più ampia partecipazione". Oggi, infatti, c'è un elettorato mobile, è difficile ipotizzare la fedeltà di un elettore ad uno schieramento: i “delusi dal centrodestra” non sanno ancora se rivoteranno di là, se guarderanno a Grillo, se non voteranno o se si rivolgeranno al Pd. Personalmente ritengo che siano elettori come gli altri e non “infiltrati”: sono persone in cerca di una risposta alla loro domanda politica. “Infiltrati” sono esponenti del centrodestra, persone che hanno incarichi istituzionali o di partito, persone che si sa perfettamente che stanno nell’altra metà del campo. “Infiltrati” sono anche i corrotti, pagati per “infiltrarsi”, ma per bloccare questo fenomeno ci vuole qualcosa di un po’ più consistente di un registro (pubblico o riservato che sia).
I dati dicono che le primarie del centrosinistra hanno anche avuto partecipazione decrescente negli ultimi anni (si è votato in quelle per i sindaci). Il rischio è che, paventando ulteriori chiusure e complicazioni, i cittadini siano ancora meno interessati a partecipare. Insomma, se dobbiamo chiudere, finiamola lì con le primarie: decidiamo che gli iscritti al Pd si scelgano il proprio candidato e con quello si vada dagli elettori. Perché, comunque, a forza di chiudere, a votare si ritroveranno solo gli iscritti ai partiti di riferimento. Ma siamo sicuri che il parere degli iscritti (in questo caso tutti schiacciati, anche giustamente, su Bersani) coincida con quello degli elettori? La domanda di fondo dello Statuto del Pd di Veltroni e della logica delle primarie era questa. La domanda è sicuramente rimasta inevasa comunque, perché a votare alle primarie sono stati sempre e solo gli iscritti al Pd (o ai partiti precedenti) e la parte più “a sinistra” dell'elettorato. Milano, Cagliari, Genova sono primarie che il Pd ha perso perché si presentato con due o più candidati e gli elettori “di sinistra” (anche tra quelli del Pd) hanno scelto un candidato non sostenuto dal partito (di solito il più “a sinistra”), e non perché ci fossero “infiltrati di destra” ad inquinare l’esito della consultazione.

Siccome, però, il problema delle regole, al di là della consultazione attuale, permane; ben vengano le regole ma si stia attenti a farlo adesso perché potrebbero essere strumentalizzate da chi dice che “il Pd non vuol far vincere Renzi” o che “il Pd si chiude”. Le regole vanno fatte in tempi non sospetti: quando il gioco è cominciato non si possono cambiare le regole a piacimento dei giocatori. In questo senso, l'assemblea del 6 ottobre è tardiva e rischia di mettere una pezza peggiore del buco sulla questione delle primarie. Si cerchino, quindi, soluzioni il più possibile condivise, non ci si arrocchi, non ci si blindi e si pensi a qualcosa di utile anche per le consultazioni future perché non si può aspettare di essere a ridosso della competizione, con candidati già in corsa e sondaggi già diffusi sui tipi di elettorato che raccolgono per stabilire come partecipare ai giochi. E, soprattutto, ci si ricordi qual è il vero scopo delle primarie concepite dal Pd: favorire la partecipazione, coinvolgere i potenziali elettori e farli partecipare alla scelta del candidato che dovrà rappresentarli. Se non servono a questo e se si inibisce la partecipazione, le primarie diventano uno strumento inutile, in quanto esse, troppo spesso, non sono affatto buone nel selezionare una valida classe dirigente (chi vince difficilmente è il più bravo ma è sicuramente chi comunica meglio e si impone di più all’opinione pubblica o chi ha una netta connotazione politica) e, allora, tanto vale cambiare strumento o ripensarlo adeguatamente per altri scopi.